Tra le vigne del Tignanello: racconto semiserio su un week end enoico. Terza e ultima puntata

Tra le vigne del Tignanello: racconto semiserio su un week end enoico. Terza e ultima puntata


Qui trovi la prima puntata e la seconda.

Dentro sembra di essere nella pancia di una nave. Saliamo su un ponte sospeso ai cui lati emergono le teste delle cisterne d’acciaio, alcune ancora aperte. Tutto è asettico, fin troppo tecnologico, poco romantico. Avvicino la testa ad una cisterna spalancata. Sono sopra, mi sporgo, vedo e sento tutto. “Per fortuna – mi dico – la natura vince la tecnologia”. Dal cappello di vinacce si innalza, vigoroso, il profumo del mosto. L’uva appena pigiata ha un aroma che mi fa esplodere la testa, che mi dà la portata di quanto sia miracolosa la trasformazione dell’uva in vino. Percorriamo il lungo corridoio sopraelevato, a destra e a sinistra solo cisterne con quello che, un giorno, sarà il Tignanello. In fondo, vedo da lontano, la cantina con le barriques per l’affinamento, nella silenziosa quiete del loro riposo. Poi torniamo sui nostri passi come reduci da un’impresa.

La sera ce la siamo goduta proprio una bottiglia di buon Tignanello, io e il mio amore, per una cenetta romantica. Era l’annata del 2008, un bambino. L’abbiamo preso ancora in fasce e quelle note di gioventù si sentivano tutte.

Colore rubino fitto, dichiarazione palese che non si tratta di Sangiovese in purezza, altrimenti trasparente nel bicchiere. Il naso è un tripudio di mirtillo, ciliegia sotto spirito, spezie dolci, pepe nero e chiodi di garofano. Lasciato nel calice per qualche minuto, ci giungono dei soffi vegetali, quasi di peperone rosso fatto alla brace, tangibile segno dei due Cabernet. Poi ritornano le spezie dolci, con una nota di vaniglia che ricorda, quasi, la pasticceria secca. In bocca è morbido, avvolgente. I tannini sono ancora ruvidi, ma eleganti: si ingentiliranno col tempo. Il retrogusto è quello della liquirizia. Noi l’abbiamo abbinato ad una chianina alla brace, perfetta da ogni punto di vista.